Recensione: "Quanta stella c'è nel cielo" di Edith Bruck e "Anita B." di Roberto Faenza

Titolo: Quanta stella c'è nel cielo
Autrice: Edith Bruck
Pagine: 198
Prezzo di copertina: 9,90 euro
Editore: Garzanti

Trama:
"Quanta stella c'è nel cielo" non è un errore, è il primo verso di una ballata amara del giovane Petöfi, il grande poeta ungherese. Quei versi sono tra le poche cose che Anita porta con sé, insieme a molti ricordi laceranti. Anita non ha ancora sedici anni. È una sopravvissuta ai campi. È bella, è sensibile, le prove della vita le hanno tatuato l'anima. Sta fuggendo da un orfanotrofio ungherese per andare a vivere a casa di una zia, Monika. Eli, il giovane cognato di Monika, è venuto a prenderla al confine per accompagnarla nel viaggio in Cecoslovacchia, dove si ritrova clandestina in un mondo ancora in subbuglio. Ma tutto questo a Eli non interessa: lo attira solo il corpo di quella ragazza e già sul treno, affollato di una moltitudine randagia, inizia a insidiarla in un gioco cinico e crudele. Un romanzo dai risvolti inattesi. Racconta come si possa tornare dalla morte alla vita. E come, a volte, il cammino per ritrovare la speranza possa seguire trame imprevedibili. Protagonista, intorno ad Anita, è un'umanità dolente, alla ricerca di una nuova esistenza: c'è chi vuole dimenticare e chi vuole ricordare, chi mette radici e chi si imbarca per la terra promessa. Edith Bruck offre in queste pagine la storia palpitante di un'epoca cruciale del dopoguerra, quando tutto era in fermento. Una meditazione sulla speranza, sulla straordinaria forza e fragilità di chi va verso una rinascita. Da questo romanzo il film Anita B. di Roberto Faenza.




Non conoscevo Edith Bruck e nemmeno la sua storia. Solitamente i romanzi tratti da storie vere, le autobiografie o le testimonianze sui campi di concentramento non attirano la mia attenzione. Quanta stella c'è nel cielo, che è un mix di tutti questi generi, non mi avrebbe certo convinto a comprarlo se l'avessi incontrato sugli scaffali di una libreria.
Tuttavia questo non è avvenuto prima che avessi casualmente partecipato ad una proiezione scolastica di Anita B., trasposizione cinematografica tratta appunto da questo romanzo, diretta da Roberto Faenza ed interpretata magistralmente da Eline Powell e Robert Sheehan, contornati da un cast prevalentemente italiano che vede Moni Ovadia nei panni di zio Jacob, Jane Alexander in quelli di Sarah, Andrea Osvart in quelli dell'altera Monika.
Per me, ormai le due cose sono così connesse che non riesco a giudicarle separatamente.
Non appena è terminata la proiezione, mi sono letteralmente fiondata in libreria per procurare il romanzo e avere qualche notizia in più che, purtroppo per me, non ho trovato.
Sebbene preferisca la trasposizione, nel romanzo ho ritrovato i toni struggenti e drammatici e la crudele realtà con cui avevo dovuto confrontarmi sin dai primi minuti di proiezione.
Così come ho ritrovato i versi che hanno ispirato il titolo di questo romanzo, versi del poeta ungherese Sandor Petofi che riporto qui sotto per la loro inestimabile bellezza:


Quanta goccia c'è nell'oceano?
Quanta stella c'è nel cielo?
Quanto capello sulla testa dell'uomo?
E quanto male nel cuore?

In quanto alla mancanza di stelline, come sapete, in presenza di storie vere non ne assegno mai perché sono pienamente convinta che la vita non si giudica, si vive e basta.

Vi lascio con la locandina e il trailer, qualora foste interessati.
Io vi consiglio davvero entrambi, libro e film.





Edith Bruck, di origine ungherese, è nata in una povera, numerosa famiglia ebrea. Nel 1944, poco più che bambina, il suo primo viaggio la porta nel ghetto del capoluogo e di lì ad Auschwitz, Dachau, Bergen-Belsen… Sopravvissuta alla deportazione, dopo anni di pellegrinaggio approda definitivamente in Italia, adottandone la lingua.
Nel 1959 esce il suo primo libro Chi ti ama così, un'autobiografia che ha per tappe l'infanzia in riva al Tibisco e la Germania dei Lager. Nel 1962 pubblica il volume di racconti Andremo in città, da cui il marito Nelo Risi trae l'omonimo film.
È autrice di poesia e di romanzi come Le sacre nozze (1969), Nuda proprietà (1993),Lettera da Francoforte (2004) e ancora Privato (2010), La donna dal cappotto verde(2012) e Il sogno rapito (2014). Nelle sue opere il più delle volte ha reso testimonianza dell'evento nero del XX secolo. Nella lunga carriera ha ricevuto diversi premi letterari ed è stata tradotta in più lingue. Tra gli altri, è traduttrice di Attila József e Miklós Radnóti.






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